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Salsa…al pomodoro

p.s. si suggerisce di leggere questo articolo con un sottofondo musicale adatto… a tema ovviamente!

Chi mi conosce lo sa. Da circa 20 anni oramai (sto invecchiando sigh!) mi piace andare a ballare la salsa.

Quando iniziai, intorno al 2000, i balli caraibici erano conosciuti solo principalmente attraverso i film. Le scuole, che in realtà per lo più erano palestre che ospitavano un corso, erano poche e gli uomini iscritti alle lezioni una vera rarità. Quando raccontavo di questa mia passione a qualcuno solitamente (ma ancora oggi spesso accade) mi sentivo sfoggiare la battuta: “io di salsa faccio solo quella di pomodoro… ah ah ah”. Oppure “Tu balli salsa? No, io non potrei. Sono un tronco, non so ballare” (neanche io, per questo seguo un corso). O anche “Quindi fai tutte quelle mosse lì…” mimando uno “sculettamento”.

Difficile spiegare per chi vede la salsa come qualcosa di buffo quanta fatica e studio servono (se sei appassionato ovviamente) per conoscere bene questo ballo e saper eseguire con un minimo di arte le suddette “mosse”. Quanto impegno ci vuole per muoversi in modo elegante (in modo espressivo, senza sembrare un pupazzo), quanto tempo occorra per sciogliere e coordinare il corpo, quanto complicato possa essere ballare sul controtempo e quanto sia ampio l’argomento visto che, collegati alla salsa, ci sono altri balli come il son, la rumba, l’afro, il cha cha cha, con tutta la storia e la cultura che essi si portano dietro.

Ancora più complicato spiegare che la salsa non è una. Che esistono modi di ballarla differenti, anche se la musica è la stessa (ma in realtà non lo è). Che esistono passi, più o meno adatti a momenti particolari della canzone, perché la canzone stessa “chiama” un altro ballo.

 

Tutto mondo è paese: meme preso da internet che circola tra i salseri

Anche se è rimasto un settore di nicchia, un hobby non certo amato da tutti, l’ambiente della salsa in questi vent’anni è molto cambiato. Scuole, maestri, stili, locali, sono proliferati negli anni. I luoghi dove ballare oggi sono strapieni, con sempre nuova gente pronta a buttarsi nella mischia sotto l’insegna del divertimento. Ballano i giovani e i vecchi. Ballano i principianti vicino e con i professionisti. La salsa nel tempo è riuscita a scrollarsi di dosso buona parte di pregiudizi e vive oramai da anni una fase d’oro. Tutto questo grazie alla diffusione dei corsi, della musica in radio (pensate al reggaeton) e degli eventi. Grazie anche alle  persone che vanno a ballare in jeans e maglietta (e non con vestiti tipici da samba, sfatando così un immaginario fantasioso) e a programmi televisivi come “Ballando sotto le stelle”, che hanno avvicinato il pubblico a questa disciplina. Parlo del ballo in generale.

Tutto questo vi ricorda qualcosa?

I tormentoni come “ah quindi giochi a Monopoly e Risiko?” o “No, io non gioco. E’ infantile” mi ricordano quelli ricorrenti nella salsa. Nascono da preconcetti e strutture dell’immaginario sociale che, ad oggi, sono ancora forti.

La concezione del gioco come esperienza per bambini, in particolare, è stranamente incardinata all’interno dei quattro lati di una scatola (da gioco). Se chiedi a persone di giocare a tresette, briscola, macchiavelli, scala 40, o anche dama e scacchi, non avranno problemi ad accettare e riconoscere quell’attività ludica come propria (cioè per adulti). Ma appena metti in campo un minimo di tematizzazione e regole (e componentistica) differente dal solito mazzo di carte, automaticamente il pensiero va a qualcosa di infantile (o ad un party game dove ci si dovrà mettere in ridicolo). Non importa che il gioco in questione sia più cervellotico degli scacchi: il gioco da tavolo non è socialmente codificato come “gioco per adulti” (niente battute, please). O meglio: una codifica ce l’ha, ma è rimasta quella di 50 anni fa.

Se parlo di salsa con qualcuno che non conosce questo ballo (e magari mi snocciola uno dei “tormentoni” dell’incipit) cerco di spiegare cosa mi piace, cosa c’è di bello, dove sta il divertimento. Cerco di sfatare la convinzione che si debba essere già ballerini per poterci provare. Logico, per me questa è una passione, e sono felice di mostrare ciò che mi coinvolge di questo hobby. Se capita, invito le persone a venire a vedere con i loro occhi una serata. Al massimo ci si prende una cosa da bere e si va via.

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L’intenzione non è quella di convincere le persone ad iscriversi ad un corso o a venire a ballare per forza. E’ semplicemente mostrare una cosa che a me piace e, se minimamente interessa, condividerla. Quindi non trovo nulla di strano in chi invita a casa gli amici e magari sfodera un nuovo gioco, o chi pazientemente spiega all’amico di turno che il gioco da tavolo non finisce con i prodotti anni ’90. Allo stesso modo, non trovo inconcepibile colui che, appassionato dei giochi da tavolo, voglia mostrare e dimostrare quanto possa essere divertente sedersi attorno ad una plancia di gioco.

L’obiettivo non è costringere il mondo a giocare ai GDT o a ballare, ma essendo entrambe attività dove la socialità e il divertimento sono componenti fondamentali, trovo del tutto normale che si cerchino di condividere.

 

Ora le domande cardine

Ma sta a me smontare i pregiudizi? E’ mio onere dover cambiare la mentalità delle persone o della società?

La risposta è no. Certo che no. Non è mio compito dover aprire gli occhi alla gente (si fa per dire eh…). Se la gente però si avvicina al tavolo (o parla con me di giochi) e snocciola preconcetti ormai obsoleti, sento il bisogno di spiegare, di mostrare e se capita di far provare.

Più in generale non credo nel proselitismo a tutti costi, dopotutto è un hobby che può piacere o meno, ma credo che l’ampliamento del bacino sia una spinta positiva alla crescita del nostro mondo. Nella salsa questo l’ho visto e vissuto. Ho visto gente entrare per poi uscirne altrettanto velocemente, persone che non hanno mai approfondito nessun aspetto fermandosi al passo base e quattro figure. Ho visto scuole con maestri improponibili o canzoni terribili da ascoltare, ma accanto a tutto questo ho visto crescere tanta passione, nascere mode e stili, ampliare il numero di persone che hanno dedicato tempo e denaro al ballo, diventando veramente bravi.

E se c’è qualcuno che mostra alla società che si può giocare senza ricadere in uno dei pregiudizi (si! Sto parlando della Ferragni, si!) perché non dovrei esserne contento?

Ne sono contentissimo e non credo sia importante quale sia il gioco mostrato, né quanto sia profondo o perfetto. E’ “l’aggancio” la cosa fondamentale e il messaggio che con esso viene inviato. E’ come un proiettile  che si infrange contro i preconcetti che le persone possono avere nella testa. E’ quella immagine che contrasta le mille pubblicità che passano in televisione dove viene mostrata la scatola di un gioco di società con un bambino accanto (non che ci sia nulla di male intendiamoci) e che alimentano quei preconcetti tanto odiati.

Questo perché “Spesso nel giudicare una cosa ci lasciamo trascinare più dall’opinione che non dalla vera sostanza della cosa stessa” (lo ha detto Seneca). Sta poi agli editori, ai negozianti, alle associazioni e perché no, anche a noi appassionati, dimostrare che c’è anche la sostanza.

Un mondo relativo ad un hobby che si chiude in sé stesso secondo me è destinato a crollare. E lo è destinato ancor di più se si nega uno dei suoi pilastri fondamentali: la socialità. Sia che lo si voglia vedere come una passione a cerchia chiusa o aperta esso rappresenta comunque un mercato che può vivere solo se costantemente alimentato. Non parlo di soldi, ma di passione che porta con sé idee, innovazione e gente.

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Coso

Educato sin da piccolo tramite le migliori scuole (Ken il guerriero, I Cavalieri dello Zodiaco e City Hunter), già da bambino adoravo i giochi da tavolo. Dopo un’adolescenza alla deriva dedicata ai videogiochi, soprattutto avventure grafiche, e alla salsa (passione per il ballo ancora non del tutto sopita), sono tornato ai Giochi da Tavolo appassionandomi subito ai cosiddetti GdM (giochi di Merda per chi non avesse compreso n.d.r.).

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