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Inclusività e Giochi da Tavolo: parliamone con Martino Chiacchiera e Daniele Tascini

Qualche mese fa, sui social, è nata una discussione che prendeva spunto da un articolo della nostra redazione sul tema dell’inclusività nel mondo del gioco da tavolo, tema altresì sempre più presente in ogni ambito della nostra vita quotidiana. Tra i coinvolti nella discussione, spiccavano due tra i più importanti autori di giochi da tavolo del panorama italiano: Martino Chiacchiera e Daniele Tascini. Entrambi si son resi disponibili per fare una chiacchierata/intervista sul tema.

autori giochi da tavolo Martino Chiacchiera e Daniele Tascini

17/01/2021, ore 14:10: Le domande di questo articolo sono inerenti a temi delicati e le risposte si limitano a fornire la visione degli intervistati riguardo essi. Come Fustella Rotante vi abbiamo riportato il più fedelmente possibile quanto dichiarato e il testo è stato redatto previo consenso dei due intervistati, i quali hanno avuto modo di leggerlo integralmente prima della pubblicazione, confermando che i contenuti rispecchiassero le loro idee. Ci adopereremo a lasciar spazio a chi abbia titoli e competenze per poter fare un quadro più completo di quello che, giustamente, possono aver dato gli intervistati a titolo del tutto personale. L’idea alla base del nostro operato è di poter fornire una cronaca, e non un punto di arrivo, per confrontarsi su tematiche che ogni giorno ci toccano da vicino, seppur con pesi completamente differenti da individuo a individuo. Già in partenza abbiamo pensato a questa come un’occasione per poter iniziare un nostro percorso a riguardo. Sappiamo che, quando si parla di un argomento divisivo, alcune frasi possano colpire e ferire. Ci scusiamo per le mancanze e le ingenuità che possiamo aver commesso nella realizzazione e nell’ideazione dell’intervista.

 

L’inclusività è un tema caldo nell’ultimo periodo. Quale significato le attribuite? Quanto è importante parlarne e intervenire perché sia una realtà?

M: Per ogni persona l’inclusività ha un significato diverso. Se sei un editore è un fattore determinante perché più persone riesci a raccogliere e più giochi vendi, quindi è un bene che il mercato si allarghi. Da autore ne benefici indirettamente a livello economico. Da giocatore e da appassionato condividere il tuo hobby è una ricchezza perché non solo porta a nuove relazioni umane e a momenti di condivisione, ma dona anche nuova linfa vitale alla tua passione.

Più giocatori e più autori sono parte delle community, più opportunità nascono per noi che ne facciamo parte ed è un bene parlarne perché è un beneficio per la collettività.

gioco da tavolo insieme inclusività
(da pixele.com)

D: Quanto detto da Martino non fa una grinza, non si può non essere d’accordo. Eppure, la penso in maniera diametralmente opposta. Il mio approccio è completamente diverso. Faccio una premessa: ogniqualvolta si presenta un’esposizione temi sensibili, emergono reazioni esagerate. Un gruppo, per definizione, nasce per includere le persone che condividono un interesse, che allo stesso tempo si separano dal resto della comunità. Ipotizziamo che a me e Martino piaccia lo stesso genere di film, quindi ci si vede a casa sua per vedere dei film insieme. Se capitasse di conoscere una persona che condivide questa passione, automaticamente si unirebbe a noi, ma non ci verrebbe da dire:

“Perché non invitare anche il vicino, a cui non piacciono questi film, giusto per allargare il gruppo?”. Non ne vedo il senso.

Se qualcuno chiedesse di entrare nel gruppo, condividendone gli interessi, penso che sia molto difficile che avvenga un rifiuto. Non sono d’accordo, quindi, con chi afferma: “Nei gruppi di gioco non c’è inclusività. Bisogna fare qualcosa!”. Chi sta all’esterno deve attivarsi per entrare nel gruppo, non il contrario.

Parlando di inclusività e rappresentazione della diversità nei gruppi, mi sento di citare l’articolo scritto da Elizabeth Hargrave, autrice di Wingspan, in cui sottolinea che c’è un problema di inclusività e non dobbiamo rimanere sorpresi quando qualcuno afferma che “è difficile essere donna/di colore/LGBT+ nella comunità dei giochi da tavolo.”

D: Sono stato profondamente irritato dall’articolo che tu citi. Preciso che sono convinto che il razzismo sia un problema serio e reale, ma c’è da sottolineare che il contesto conta: cambia da luogo a luogo, comunità a comunità, persona a persona. Gli Stati Uniti sono, ad esempio, un paese profondamente diverso dall’Europa, sia come tessuto sociale che come struttura economica.

ingresso Essen Spiel Messe 2019
I visitatori in attesa, all’ingresso di Essen Spiel 2019

Consideriamo che un sottoinsieme di una comunità è espressione statistica della comunità stessa. Se vivi in un continente dove la presenza di persone bianche è prevalente, come l’Europa, già questo incide sulla numerosità di persone di colore in certi contesti. Ma in zone come gli Stati Uniti, incidono anche altri fattori come, ad esempio, le ragioni storiche per le quali, mediamente, sono i bianchi ad essere benestanti. Quindi, un passatempo come il gioco da tavolo, che è un privilegio concesso solo a chi ha la possibilità di avere una qualità della vita tale da avere del tempo libero da dedicarvi (soprassediamo sui costi degli stessi), sarà caratterizzata maggiormente da una presenza di persone bianche. Questo, contestualmente, si riflette anche al vertice, sugli autori di giochi. Sulla disparità uomo-donna, invece, c’è da aprire tutto un altro tavolo di discussione.

Colgo l’occasione per citare qualcosa che ho osservato personalmente sul gruppo Facebook Giochi da Tavolo. Una donna raccontava di aver letto in una recensione, cito testualmente

“è un gioco leggero e semplice da imparare, ideale da giocare con mogli e fidanzate”

Il che ha provocato indignazione in lei, sottolineando che a volte si ignora che ci siano donne giocatrici, a cui piacciono anche titoli sulla carta concepiti per un target maschile che sembrano voler ignorare l’esistenza di giocatrici hardcore.

M: Dalla mia esperienza personale, vi racconto un aneddoto. In un mio gioco di prossima uscita, io e il mio coautore abbiamo collaborato con una sviluppatrice che lavora da anni nell’industria e lei stessa, con l’appoggio della casa editrice, ha spinto per dare al gioco un’ambientazione e uno stile grafico che strizzasse l’occhio ad un pubblico femminile. Il trend esiste, lo stereotipo è diffuso, ma non lo condivido.

box cover ms. monopoly dal trailer ufficiale hasbro
Nel 2019, Hasbro pubblica Ms. Monopoly, un gioco dove le donne ricevono 240$ passando dal via. Gli uomini 200. (da Youtube)
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La mia esperienza personale mi fa pensare che ogni persona sia differente a prescindere dal contesto, da fattori culturali e dal suo sesso biologico, che, ci tengo a sottolineare, non è da considerarsi binario. La mia compagna è un esempio di persona in controtendenza: l’ho conosciuta in ambito GdT, è una giocatrice ed è impiegata in un lavoro altamente specializzato, in un ambiente fortemente maschile come il settore aerospaziale. Mi sembra pazzesco che alcune donne dell’industria ludica lavorino per insistere su questi stereotipi, ma è un dato di fatto. Vi racconto un altro aneddoto. Cercavo una sedia montessoriana per mio figlio di tre anni, per permettergli di giocare mentre cucino, e notavo che, sulle immagini del prodotto a cui ero interessato, erano rappresentate una bambina che giocava in cucina e una mamma che giocava con sua figlia in cucina. L’ho trovato strano.

D: Io sono totalmente d’accordo con te e faccio un passo indietro. L’articolo della Hargrave di cui parlavamo in precedenza racconta, tra l’altro, della sua esperienza: lei narra di non essersi sentita accolta quando ha cercato di inserirsi in gruppi di gioco. Io non lo credo possibile. Se le donne vengono viste in un certo modo in ambito ludico e vengono scritte recensioni come quella citata poc’anzi, o si prendono certe direzioni editoriali, è perché le donne statisticamente, in media, sono assimilabili a certe caratteristiche. Le gamer esistono, ne conosco diverse, ma sono una minoranza. La maggior parte delle donne che si approcciano al gioco che incontro sono “la ragazza di”, perché culturalmente, almeno in Italia, ci sono poche donne di per sé giocatrici. Allo stesso tempo, nei casi in cui ci siano, difficilmente penso che verrebbero non accolte dai giocatori, anzi, ne sarebbero felici.

M: Quello che affermi è corretto, Daniele, ma, allo stesso tempo

è innegabile che i giochi sono prevalentemente creati, storicamente, da un gruppo ristretto di persone.

Mediamente, le persone che fanno parte di questa cerchia sono gli informatici o gli ingegneri di un tempo, che hanno inizialmente creato i primi videogame ponendo le basi dell’industria videoludica. Col tempo poi, hanno posto le basi per il moderno gioco di ruolo e, in tempi più recenti, hanno posto le basi del gioco da tavolo moderno. Chi sono, quindi, queste persone? Sono persone bianche, cisgender, con formazione universitaria a base scientifica. Una nicchia autoalimentata che ha generato prodotti che tendono, inevitabilmente, a rifarsi a quello che è già stato fatto da persone con lo stesso background.

I giochi, come ogni altra forma di arte espressiva, contengono i valori delle persone che li creano.

Per esempio, è noto il caso di SimCity: nella versione originale, Will Wright sviluppò il noto videogame con soli personaggi bianchi. Se tu provenissi dal Bronx, non potresti ricreare il tuo quartiere. Inoltre, essendo Repubblicano, ha impostato una meccanica per cui, se le tasse sono basse, l’economia della città è più florida. Di fatto, implementando nel gioco quello che è il suo modello di città, ha involontariamente espresso una posizione del tutto soggettiva. Non avere rappresentanti di altri contesti, nel lungo termine, crea barriere, invisibili, ma reali.

John Romero, Will Wright, Tim Schafer British Academy Video Games Awards
Will Wright, John Romero, Tim Schafer ed altri celebri game developer alla premiazione per il British Academy Video Games Awards del 2011 (da Wikipedia).

Tra i giochi da tavolo potremmo parlare dei gestionali, o dei giochi con regolamenti molto complessi, che spesso riutilizzano le stesse strutture, che, ormai, per chi è “un giocatore” sono familiari, ma, per chi è esterno a questo mondo, non lo sono. In sostanza gli autori creano giochi per una nicchia e, dalla nicchia, nascono nuovi autori che creano giochi della stessa tipologia. Tutte le volte in cui ho provato a spiegare le regole di un gioco a qualcuno al di fuori di questa realtà, ho sempre riscontrato difficoltà nel far apprendere i meccanismi di gioco. In passato ho pensato che, in alcuni casi, fosse dovuto alla complessità dei giochi in sé e che non tutti fossero portati ad avvicinarsi ad un certo tipo di intrattenimento.

Recentemente ho scoperto che le stesse persone, se poste davanti ad un altro tipo di esperienza ludica, non necessariamente più “leggera”, ma incline alle loro corde, riescono a sentirsi coinvolte con lo stesso entusiasmo con il quale giocatori come noi affrontano un gestionale di lunga durata. Ma, ad ora, l’alternativa nel mercato è davvero ristretta.

Questo è il vero salto che dovrebbe affrontare l’industria ludica, in ogni settore. Però, si insiste nel realizzare giochi che tendano sempre a testare la capacità di ottimizzazione del giocatore; operazione che un ingegnere svolge ogni giorno nella sua attività lavorativa.

D: Vorrei precisare la mia posizione: sono un game designer che crea giochi che rispecchiano queste caratteristiche non per scelta, ma perché sono i giochi che so creare.

Ed in qualche modo mi sento chiamato in causa perché io sono il tipico giocatore che ama i giochi che realizzi.

M: Infatti rientri perfettamente in quel target che evidenziavo precedentemente. Bianco, cis, con formazione universitaria e informatico.

Eppure ci tengo a sottolineare che acquisto anche altre tipologie di giochi. Mi capita di trovarmi in occasioni dove c’è da proporre un gioco a qualcuno che è estraneo all’ambiente. In quei casi escludo a priori i titoli di un certo peso e genere, proponendo ad esempio un Deckscape, che permette di esser pronti a giocare senza spiegare a monte un numero notevole di regole e di fornire un’esperienza alternativa. Questa, per me, è inclusività: pur di rendere partecipe chi mi circonda, scelgo qualcosa che sia a metà tra il mio gusto e quello che potrebbe apprezzare la persona che ho di fronte. In futuro, poi, quella persona potrebbe affrontare anche i giochi di Daniele.

M: Questo, però, può indurre in un concetto diffuso nell’industria ludica, che considera un punto di arrivo l’esser in grado di affrontare un gestionale. Conosco persone che giocano da anni e non giocherebbero mai a un gestionale, così come conosco persone che, nella loro vita, hanno affrontato solo “cinghiali” e non hanno mai avuto necessità di passare per uno “scalino”, il passaggio attraverso “i filler”, che comunque sono spesso considerati di “livello inferiore”. Questo rientra tutto nella prospettiva che non ci sono modelli alternativi, anche se il pubblico lo richiederebbe.

D: D’accordo, ma da designer il mio obiettivo è realizzare giochi per persone come me e con i miei gusti, che amano spremersi le meningi con le meccaniche da me realizzate, sfidandosi tra amici nell’ottimizzare al meglio le proprie mosse. Perché questo si avveri,

è necessario che il gioco funzioni con meccaniche ben oliate e testate e, per me, è l’unica cosa che conta.

Poi, al contempo, il mercato presenta giochi di tutti i tipi, di tutti i generi, per tutti i tipi di giocatori, ma l’hardcore gamer richiede una certa tipologia di prodotti, quindi, io so che il mio nuovo gioco andrà a raggiungere un target che è una fanbase fidelizzata.

M: Quindi, per te, il vero gamer gradisce solo un tipo di esperienza? Secondo me c’è margine di miglioramento. Tra l’altro, questa tipologia di giochi ha sempre tematiche da bianchi e passa sempre un certo tipo di messaggio.

Vorrei che sia chiaro: qualsiasi gioco, volontario o involontario che sia, non è mai neutrale e trasmette dei valori ai giocatori.

D: Ma sai chi sono i miei maggiori fan? Sono i giocatori sudamericani che hanno apprezzato che io abbia sviluppato giochi che riguardano le loro civiltà di origine.

Daniele Tascini Teotihuacan
Daniele Tascini

M: Quindi confermi che si può migliorare e far le cose per bene. Perché ahimè, ad esempio, non è andata così nel caso di Manitoba, soggetto di ampie critiche.

Tocchiamo quindi un argomento molto interessante, ovvero quello dell’appropriazione culturale. Nel mondo dei giochi da tavolo è facile incorrere nella volontà di scegliere un’ambientazione esotica per un titolo e si può incorrere facilmente in errori, essere poco rispettosi e abusare di stereotipi.

D: Infatti con i miei giochi, in passato, sono stati fatti grossi errori, per quanto io sia una persona attenta e che si informa.

In Tzolkin, per esempio, è stata utilizzata la “Piedra del Sol”, che è Azteca e non Maya, e, nonostante abbia sottolineato la questione alla casa editrice, la CGE ha scelto l’immagine più iconica e riconosciuta nell’immaginario collettivo.

Però, un gioco è un gioco…

M: Sono d’accordo, in questo caso. L’errore sta nel considerare Manitoba una ricostruzione storica della vita degli indigeni Cree e non solo un gioco.

raiatea box cover
Raiatea è ambientato nell’omonima isola della Polinesia Francese, ma la copertina mostra un Maori Neo Zelandese. (dal sito ufficiale di Quined Games)

Vorrei citare anche un episodio, simile, ma differente, che mi ha molto colpito: quello che sta accadendo con Alma Mater. È nata una grossa polemica su BGG per l’assenza di personaggi non-bianchi. Se, nel caso di Manitoba, si è contestata la mancata accuratezza, in questo caso mi sembra che, visto il tema del gioco, ovvero le università europee del XV secolo, la scelta sia accurata.

D: E qui rasentiamo il ridicolo. Ma anche con la nuova edizione di Puerto Rico, dove i coloni sono diventati lavoratori e, da marroni, sono diventati viola.

M: Che è un’ingiustizia, perché è proprio rappresentando la realtà storica che permetti di mantenere viva la coscienza collettiva su determinati avvenimenti.

Cambiando argomento, vorrei toccare il tema del rapporto tra l’inclusività nel gioco da tavolo e le associazioni. Qual è la vostra esperienza e quanto conta per voi il buon operato di chi ne fa parte?

M: Ho visto realtà positive e negative. Ad esempio, ho frequentato in passato La Tana dei Goblin di Perugia, dove ho potuto osservare l’impegno di chi la gestiva nell’indirizzare i nuovi giocatori verso titoli inclini ai propri gusti o verso le persone più esperte dell’associazione che potessero accompagnarli in quel tipo di esperienza. Allo stesso tempo comprendo che a volte si senta l’esigenza di mantenere “ristretto” il gruppo di gioco e che questo processo non sia sempre possibile perché risulta problematico scombinare l’organizzazione di una partita, che un gruppo ha pianificato da tempo, pur di includere qualcuno che potrebbe esser lì per una volta, non essere pronto per una certa esperienza, e potresti non rivedere più in tutta la tua vita. Apprezzo tantissimo chi è propenso a mettersi a disposizione in tal senso. Personalmente odio essere dimostratore di giochi e, soprattutto, dei miei giochi.

D: Anch’io ammiro chi, nelle associazioni, passa le serate a spiegar giochi. È evidente la predisposizione sociale all’inclusività di chi lo fa ed è lodevole. Ma non può essere un obbligo e non può essere vocazione di tutti. Con tutti gli impegni che ho, la serata gioco è un lusso. Gioco una volta al mese e quella sera ho voglia di scervellarmi con l’ultimo Lacerda. Se mi venisse chiesto di giocare a Dixit, mi rifiuterei. Se avessi più tempo sarebbe già diverso.

associazione ludico culturale alc gioco da tavalo
Un ringraziamento speciale a chi si spende per la divulgazione del gioco da tavolo.

M: Io mi sono trasferito da poco in Germania e qui ci sono molte associazioni ludiche. Principalmente, causa Covid, non le frequento, ma non solo: non ho voglia di lasciare la mia famiglia una sera a settimana per frequentarle. Allo stesso tempo, quasi una volta a settimana, andiamo a casa di amici che conoscevano già titoli come Dixit, I Coloni di Catan o Kaleidos. Una passione mai approfondita prima che, grazie alla nostra frequentazione, si è evoluta e mi sono creato, quindi, uno spazio con cui giocare. In questo caso, spiegar loro nuovi giochi è stato piacevole.

La presenza di un numero elevato di giocatori e di un mercato ampio porta benefici? Le case editrici sembra che la pensino così. Basti pensare a quanti influencer, con relativo seguito di pubblico, stiano cercando di coinvolgere, seppur non siano legati strettamente al mondo giochi da tavolo o, in alcuni casi, ne siano totalmente estranei.

D: Il nostro è un settore industriale. Chi ne beneficia dal punto di vista economico ragiona in questi termini. Io, personalmente, non ho iniziato a realizzare giochi per un ritorno economico. Poi è arrivato anche quello e si è trasformato in un lavoro, ma non ho iniziato per questo. Sono laureato in Informatica, ho lavorato per 20 anni all’università come esperto di networking e ho fatto quello che mi veniva richiesto. Alcune cose mi piacevano, altre no. Invece, quando ho iniziato a far giochi, ho iniziato a farlo perché mi piaceva e soprattutto ho iniziato a creare i giochi che mi piaceva giocare. Il comprendere, poi, che questa attività poteva appoggiarsi su una solida nicchia di mercato, che mi avrebbe permesso di darmi un sostentamento economico, mi ha permesso di trasformarlo nel mio lavoro principale.

M: A volte si genera un possibile conflitto di interessi, infatti. Penso ai Deckscape e Decktective: se un giorno non mi andasse più di svilupparli sarebbe un problema perché mi garantiscono un buon ritorno economico, visti i dati di vendita. Oppure, i giochi su commissione. Mi è capitato in passato di svilupparli. Poi ho deciso che eviterò di farlo se dietro ci fosse solo il ritorno economico e nient’altro a motivarmi.

chiacchiera deckscape
Martino Chiacchiera
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D: Concordo. Ho fatto un’esperienza di un anno e mezzo con Cranio Creations come responsabile della produzione e sviluppatore. Sono scappato via. Per me, lavorare su un gioco di un altro non è un piacere.

M: Ovviamente noi possiamo permetterci di fare certe scelte. Il processo decisionale, che mi sembra condiviso da entrambi, è che evitiamo che il nostro processo creativo diventi un obbligo. Ci sono, comunque, giorni in cui dobbiamo adempiere a compiti più onerosi, ma non è mai percepito come un peso.

D: Quindi, ritornando a noi, mi importa che si allarghi il mercato? Se vendo più giochi non mi dispiace, ma mi importa relativamente. Consideriamo anche che, rispetto ai giochi che solitamente sviluppa Martino, che possono rivolgersi ad un mercato più ampio, considerando il mercato come una piramide, io mi occupo della punta. L’allargamento della base incide poco e dopo molto tempo. Si vogliono coinvolgere gli influencer? Ben venga, ma personalmente la cosa mi riguarda molto poco.

Ma con il mercato attuale, più ampio di quello che c’era ad esempio dieci anni fa, un autore non ha più margine per realizzare i propri progetti?

D: Un po’ sì. Soprattutto negli ultimi cinque anni si è percepito.

M: Sicuramente.

Guardando al futuro, invece, farò una premessa e poi vi farò una domanda. In altri ambiti, come quello delle produzioni cinematografiche e quello delle piattaforme di streaming come Netflix, negli ultimi tempi c’è una presenza di tematiche di inclusività elevatissima e, a volte, si ha l’impressione che lo si faccia solo per avere visibilità e non per un nobile scopo. Pensate potrebbe accadere anche al gioco da tavolo?

M: Già sta accadendo e continuerà ad accadere sempre con maggiore intensità. In parte è un bene, in parte è un male. Come citato in precedenza, nel caso di Puerto Rico sarebbe stato opportuno evitare quel tipo di trattamento. Di caso in caso sarà diverso e

il problema è quando sfocia in tentativi di marketing attraverso la strumentalizzazione o la banalizzazione.

Penso anche ai giochi dove si ha il personaggio in versione uomo e versione donna.

D: Concordo e, allo stesso tempo, penso che si dovrebbe dare maggiore risalto a quella filosofia che, spesso, rivediamo negli Eurogame, in cui si evita di caratterizzare un personaggio attraverso l’uso di figure astratte.

M: Ma la neutralità assoluta non esiste. Questo però non è un male, è un bene. Basta esserne consapevoli mentre si crea il gioco.

D: Attenzione, non intendo questo. Mi riferisco al focus sulle meccaniche di gioco. Poi, in quel cilindro ci vedi quello che vuoi: un uomo, una donna, un bianco, un nero… Ma non perché non mi importi del problema.

La mia posizione è che non voglio che il gioco sia il mezzo per affrontare il problema.

 

Ringrazio Martino e Daniele per la professionalità e la grande disponibilità.

 

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