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Four Against Darkness, bentornati negli anni 80!

Oggi a Le Cronache Del Gioco non parliamo soltanto di un gioco, ma facciamo un vero e proprio tuffo nel passato, direttamente negli anni 80, in un’avventura di esplorazione fra draghi, tesori e Dungeon sotterranei, grazie a Four Against Darkness.

 

Four Against Darkness, bentornati negli anni 80!

 

Copertina del gioco di ruolo Four Against Darkness

Four Against Darkness riporta in auge una tipologia di gioco a metà fra il libro game e il GDR, capace di trasportare i giocatori attuali in un altro mondo, senza inutili sovrastrutture, ma muniti soltanto di carta, matita, gomma e dadi. Un gioco che ben si addice al trend del momento, essere nerd! Con uno stile chiaro e genuino, ben condensato in un manuale edito in Italia da MS Edizioni.

Come al solito ribadisco, così da non farvi perdere tempo, che questa non è una recensione, ma semplicemente una panoramica sul prodotto. Una mia opinione senza alcun approfondimento tecnico.

Se cercate una recensione, vi consiglio questa, ma poi tornate subito qui!

Lo sanno tutti, al giorno d’oggi essere nerd è da fighi!

Four against darkness permette sia una modalità cooperativa che competitiva, per essere affrontato in più giocatori, ma a mio parere questa è un’esperienza da fare da soli, magari chiedendo ad Alexa della musica di sottofondo, così da entrare maggiormente nella parte.

L’autore, Andrea Sfiligoi, che oltre ad aver curato il set di regole e l’ambientazione, ha arricchito le cento e passa pagine del gioco base con molti dei propri disegni, mantenendo uno stile coerente e piacevole e lasciando adito a pochi dubbi sul regolamento, previa però una costante rilettura durante almeno le prime partite. Forse a primo impatto tutto può sembrare caotico, rimbalzando da una tabella all’altra e cercando di ricordare ogni piccola sfumatura, ma ci si impratichisce in fretta. Da segnalare la presenza su Facebook di una pagina dedicata al gioco, a cui sia autore che editore partecipano attivamente, risolvendo ogni piccola perplessità fornendo supporto.

Uno dei disegni dei mostri descritti nel gioco

Difficile dire quanto possa durare una partita, io per esempio il primissimo dungeon l’ho giocato a cavallo di tre giorni, una mezz’oretta a sessione, ma indicativamente una partita dovrebbe attestarsi intorno all’ora di gioco.

Considerate che la maggior parte del tempo la si passerà a sfogliare il manuale alla ricerca di tabelle, selezionare stanze del dungeon o semplicemente rileggere qualche passaggio.

In realtà da ricordare non c’è poi molto, ma nel dubbio sempre meglio rileggere, almeno questo è il mio motto.


Perché dovreste recuperare una copia di Four Against Darkness?

Schizzo di esempio di un dungeon

Innanzitutto quello che vi troverete fra le mani non sarà né un libro, né un libro game nel senso più canonico del termine, quanto piuttosto un varco verso un mondo fatto di tabelle e schemi, da tradurre e portare su carta, dando vita a delle avventure. Amanti degli RPG alla Neverwinter Nights o Baldur’s Gate sicuramente potrebbero apprezzare, ma siamo a livelli molto più light, almeno per quanto concerne il gioco base.

Pagina con dungeon all'interno del libro

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Esplora, tira i dadi, leggi e risolvi

Partendo casualmente da una stanza d’entrata, scelta mediante l’utilizzo di un dado d6 e ricopiata su di un foglio di carta, i giocatori svilupperanno un vero e proprio dungeon, costruendolo man mano. Ogni stanza aggiuntiva ed il proprio contenuto verranno determinati dai dadi, con risultati che potranno essere di vario tipo, come ad esempio la scoperta di porte segrete, tesori, oggetti magici, il verificarsi di veri e propri eventi, oppure molto più probabilmente l’incontro con creature da affrontare.

Diverse tipologie di mostri, ognuno con le proprie caratteristiche e con le proprie regole d’ingaggio, che spesso varieranno in base al tipo di personaggio che li dovrà affrontare.

Non scenderò nel dettaglio, lascio a voi scoprire eventualmente sia i mostri, che le varie conseguenze.

Lo scopo di Dark against darkness? Sconfiggere il Boss finale, recuperare il tesoro e riportare a casa la pelle, oppure morire nel tentativo di farlo, nel modo più epico possibile.

Una scheda fan made delle caratteristiche dei personaggi

C’erano una volta un nano, un elfo, una maga e un furfante…

Come per ogni gioco fantasy che si rispetti, anche in Four Against Darkness esistono classi di personaggi fra cui scegliere. Il titolo del gioco è chiaro, i componenti del party dovranno essere quattro, scelti con cognizione di causa, oppure a caso. Nelle schede personaggio, presenti sul libro e da fotocopiare, o in alternativa da scaricare online, bisognerà compilare tutta una serie di informazioni come ad esempio livello, vita, attributi di attacco, di difesa, ecc… aggiornando ogni minima variazione durante la partita.

Anche il nome? Ovviamente! Proprio questa è la parte migliore del gioco, l’immedesimazione. Il mio elfo Danylas è morto in un’imboscata ad un passo dall’uscita del dungeon, quando ormai pensava di essere al sicuro. Incautamente, nonostante fosse rimasto con solo 1 di vita, è rimasto nelle retrovie. Una scelta che nei corridoi è molto utile, permettendo un attacco a distanza tramite arco, altrimenti non possibile, ma che in caso di attacco di mostri erranti, può rivelarsi fatale in quanto sicuro bersaglio.

Retro della copertina di Four against darkness

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bigo-riquadro

 

Cos’altro aggiungere?

Ci sarebbe ancora molto da scrivere, perlopiù questioni tecniche, ma questo lo lascio volentieri fare ad altri.

Questo gioco ha il pregio di trasportarci, come solo i libri sanno fare, al centro dell’azione, stimolando la nostra mente e regalandoci attimi piacevoli.

Ho scritto una cronaca particolare, magari avete voglia di leggerla, altrimenti potete interrompere pure qui la lettura dell’articolo, in quanto non aggiungerà altro in merito al gioco.

Certo che fermarsi proprio ora…

Cronaca da un altro mondo

Erano passate diverse ore, ma non avevo intenzione di rinunciare, rimasi quindi immobile ad attendere il loro ritorno, ingannando il tempo fra le pagine di un vecchio tomo. Li notai al villaggio quella stessa mattina e decisi di seguirli, cercando di cogliere l’occasione per lasciare una vita che ormai non mi apparteneva più, ma chiesi troppo alla mia pazienza. Troppi pensieri adombravano la mia mente, in più quel luogo, la solitudine e il tempo per pensare, non avevano fatto altro che stimolare ogni piccolo dubbio, ingigantendolo.

Mi convinsi di aver commesso un errore e decisi di tornare indietro, sentendo montare la rabbia per la mia irruenza, quando li vidi uscire dall’antro.

I tre uomini erano sporchi di sangue e polvere, come normale che fosse per degli avventurieri di ritorno dall’inferno. 

Uno zoppicava arrancando nella mia direzione, trascinando una gamba e aiutandosi con un’ascia dal manico lungo a modi bastone, gli altri due invece si fermarono non appena sentirono l’aria fresca entrare nelle narici, chiudendo gli occhi e inspirando a pieni polmoni. Lasciarono cadere a terra tutto quello che avevano in spalla. Un tintinnio di sacche piene forse di ori e gioielli, armi e pezzi di armatura, insomma, quello che con buone probabilità poteva essere un degno bottino, oppure della semplice cianfrusaglia.
Forse era soltanto stanchezza, la loro oppure la mia, ma dalle loro bocche non udii alcuna parola e non mi parvero ansiosi di raggiungere la città. Molto strano. Nei racconti dopo ogni avventura gli eroi correvano ad ubriacarsi e festeggiare, ostentando e raccontando di prodezze. Nulla di nulla, questi non sembravano ansiosi di muoversi.
Li osservai, non sembravano particolarmente soddisfatti, i loro movimenti erano bruschi e sbrigativi. Percepivo chiaramente cattive vibrazioni in quell’aria immobile, accentuate dalla luce di un sole che scivolava lentamente al tramonto, allungando ombre e incupendo lineamenti già tirati.

Degli uccelli, forse dei tordi, interruppero il proprio canto melodioso e si levarono all’unisono in volo in uno stormo, come disturbati dal loro arrivo.

Poi fu soltanto irreale silenzio a riempire quegli spazi e ad avvolgere i presenti.

Avrei dovuto distogliere lo sguardo, invece non riuscii a muovermi, restando a guardarli e sognando con gli occhi chissà quali avventure. Io ero lì perché bramavo quella stessa vita, sentivo fosse era arrivato il momento di fare come quei volatili e spiccare il volo, verso il mio destino. Li avevo seguiti sperando non so bene nemmeno io cosa, eppure sentivo che era la mia strada. Un destino che stava per compiersi.

  

L’uomo che zoppicava raggiunse una roccia e vi si sedette, apparentemente senza degnarmi di uno sguardo, prendendo a fasciarsi la gamba ferita con degli stracci presi dalla sacca. Era bruno e con i lineamenti spigolosi, senza un filo di barba e dal petto possente, come anche le grosse braccia. Gli altri due invece sembravano fratelli, sebbene uno fosse basso e tarchiato e l’altro di altezza media, ma la somiglianza nei movimenti e certi particolari del viso erano abbastanza eloquenti. Parevano ora intenti a cercare nelle sacche, riuscendo alla fine a trovare del cibo, o almeno credo lo fosse, tanta fu la foga che ebbero di ficcarselo in bocca.

Erano in quattro! Il pensiero mi colse all’improvviso, realizzando soltanto in quel momento che il quarto membro del gruppo non era ancora uscito. Ricordai di averli visti entrare quella stessa mattina.

– ne manca uno!

dissi inconsapevolmente ad alta voce, mentre le mie mani chiusero il libro che avevo in grembo. Quell’arco spezzato che giaceva ai piedi di uno degli uomini lo avevo già visto, impossibile confonderlo per via dei colori sgargianti e del nastro pendente dalle estremità. Significava, non c’era alcun dubbio, che l’elfo era caduto.

Mi dissero poi tempo dopo che la sua fu una morte orribile, ma fortunatamente veloce, ironia della sorte, per mano di un orco. Gli elfi odiano gli orchi, è risaputo e a ben ragione, come si può sopportarne la vista? E l’odore è anche peggio. Puzzava di sterco di vacca l’esemplare che gli si era parato davanti, almeno così mi dissero. Stupidamente pensai che questo avrebbe dovuto allertarli, ma ragionavo da giovane senza alcuna esperienza. Il loro olfatto era compromesso da continui scontri con orde di ratti e hobgoblin che, quanto a puzza, non avevano nulla da invidiare all’orco. Erano assuefatti dal lezzo che loro stessi si portavano addosso e questo lo posso giurare anch’io. Quando giunsero nei pressi dell’uscita, si sentirono ormai al sicuro, fu lì che quell’essere gigantesco li colse di sorpresa alle spalle. L’elfo cadde quasi subito, accecato dallo stupore e l’orrore di perire per mano di un essere tanto immondo, colpito da una mazza che gli aprì la testa. Gli altri reagirono troppo tardi per salvarlo, ma sopravvissero, uscendo visibilmente feriti, non tanto nel corpo, quanto nell’anima. Dell’elfo raccolsero soltanto l’arco, i suoi resti non ebbero il coraggio di toccarli.

Avevano perso uno di loro, non un amico, ma un fratello in arme e questo avrebbe lasciato una cicatrice profonda. Al momento tuttavia la loro attenzione, almeno quella di alcuni di loro, era tutta sul riempirsi lo stomaco.

L’uomo seduto, quello ferito alla gamba, sputò a terra e mi rivolse la parola.
– Ragazzo! Ehi dico a te! Vieni qui! 
Non mi resi conto di aver attirato la loro attenzione, mi alzai fra gli sguardi attoniti degli altri due uomini che parevano solo ora accorgersi di me. Una figura alta e magra, avvolta in una tunica bordeaux con ricami colore oro sulle maniche. Dal cappuccio sul capo si riuscivano ad intravedere lineamenti delicati che non dovevano lasciare dubbi sulla mia giovane età. Camminai lentamente e un po’ godetti di quell’attimo, sentendomi importante, stringendo ancora più forte il libro fra le mani mentre mi avvicinai all’uomo. Aprii bocca per salutare, senza aver il tempo però di emettere alcun suono.
– Mi ricordo di te, eri qui anche questa mattina, seduto lì a fissarci sotto quello stupido cappuccio. Cosa sei? Un fottuto perditempo rifiuto della società?
Non mi diede nemmeno il tempo di parlare, ferendomi con i suoi modi bruschi. Notai i suoi occhi stringersi nel studiare il mio volto e la bocca allargarsi sorpresa, pronta ad aggiungere altro. Parlai io.
– io sono qui perché cerco lavoro, potrei farvi comodo, sono…
Presi a rispondere con il tono di voce più fermo che riuscii a simulare, ma non ebbi modo di finire la frase che un trambusto, anzi più un ruggito, dall’entrata dell’antro richiamo la mia attenzione. I due uomini più vicini all’apertura si voltarono, trovandosi davanti un troll imbufalito a nemmeno cinque metri da loro. Le armi ai loro piedi e strisce di carne essiccata, fra le mani e la bocca, che spalancata smise di masticare, lasciando cadere tutto a terra. L’essere, forte dell’effetto sorpresa, prese a correre urlando e caricando verso i due che ebbero la prontezza di riflessi di buttarsi a terra, chi a destra e chi a sinistra. Non pensai, tesi una mano chiudendo gli occhi e pronunciando la formula dell’unico incantesimo che conoscevo a memoria. Un fascio ne scaturì, quasi dei cerchi come di fumo, ma fatti di aria condensata, investì in pieno la creatura, che proseguì la propria corsa verso di me. L’incantesimo ebbe effetto immediato, il troll cadde addormentato, ma nello slancio la sua corsa non terminò, facendolo cadere addosso a me e all’uomo seduto sulla roccia. Fino a quel momento l’uomo non era riuscito a dire o fare alcunché, paralizzato più dalla sorpresa che dalla paura e limitato dalle circostanze, con bende fra le mani su di una gamba distesa lunga e i calzoni semi calati. Ricordo di averlo sentito imprecare nell’attimo dell’impatto. La concentrazione per un mago è tutto e maggiore è questa, più potente è l’esito dei propri incantesimi. Purtroppo però i riflessi, quando si è in tale stato, sono piuttosto lenti. La morte mi avrebbe portato con sé sicuramente, sotto il peso del troll addormentato, se non fosse stato per l’uomo che, in un impeto di eroismo, allungò il braccio per assorbire la maggior parte dell’urto.

Buio, male, freddo, lacrime.

Quando ripresi conoscenza gli altri stavano bisbigliando. C’era un fuoco scoppiettante e il cielo era ricoperto di stelle. Sentii vagamente le parole, ma non mi mossi.
– ne abbiamo bisogno, siamo rimasti in tre. Hai visto cos’ha fatto?

– sì, mi ha quasi fatto ammazzare! Ecco cos’ha fatto!

– no! Paul ha ragione, dobbiamo essere in quattro e Dan non c’è più. Siamo un uomo in meno!

– anche con lei saremo un uomo in meno!

Spalancai gli occhi e mi tirai di colpo su a sedere, la coperta mi scivolò di dosso rivelando il mio corpo nudo, ricoperto di lividi. Istintivamente mi portai le braccia a coprire i seni. I tre mi fissarono per un attimo, per poi tornare al crepitio delle fiamme, intenti a rimescolare da un pentolone una cucchiaia di legno.

Tirai nuovamente la coperta logora a coprirmi, cercando con lo sguardo la mia tunica che non trovai. Il più basso dei tre si avvicinò a me con una scodella in mano.

– mi spiace ragazzina, i tuoi abiti sono sotto il tuo cu… Ehmm il tuo fondo schiena. Non avevamo niente di più soffice da mettere sotto per ripararti dal terreno. Dovevamo controllare che non avessi nulla di rotto…

Non riuscì a guardarmi negli occhi, sembrava a disagio. Mi accorsi di avere una fame terribile, ma tentennai.
– ecco prendi, avrai fame…
Insistette. Allungai la mano e quasi persi il lembo della coperta con l’altra. Sembrai buffa, o almeno così mi sentii, prendendo la scodella e stringendomi ancora più nella coperta.
– che cos’è?

– meglio che tu non lo sappia ragazzina

– non sono una ragazzina, ho già 17 anni!

Uno degli altri due al fuoco, quello con la gamba fasciata, emise un suono sgradevole con la bocca. Simile al grugnito del troll.
– 17 anni e tu vorresti portatela dietro? Se ci vedessero che razza di figura ci faremmo?

– abbiamo forse alternative? Ti ripeto, in quattro, non uno di meno. È brava e quante persone conosci capaci di resistere alla carica di un troll?

– brava o forse vorrai dire fortunata? Non ci servono maghi! La magia è pericolosa, porta disgrazia e corrompe le anime. Lei è una portatrice di disgrazia

Posai la scodella, nauseata più dalle parole che dai pezzi di carne che galleggiavano in quella brodaglia di colore indefinito.
– ehi, io sono qui!

– scusa ragazzina, lascia parlare i grandi…

– Milica.

– cosa dici? Mollica?

– Milica, questo è il mio nome.

– senti Molly non ho nulla contro di te, anzi sembri proprio una cara ragazza, ma non ti intromettere. Non pensi ai tuoi genitori? Saranno in pensiero ormai, si è fatta notte!

Sbuffai sommessamente, ma il rozzo continuò.
-Ora, appurato che stai bene e bada, sono sicuro che stai bene perché ti abbiamo controllata, da cima a fondo e non hai nulla di rotto, forse sarebbe il caso tu te ne andassi per la tua strada.
Arrossii inevitabilmente.
– così sia!
Mi alzai stretta nella coperta, immune al dolore che ogni movimento mi provocava
– e mi raccomando, Molly, non portarti via la mia coperta…

– bene!

Gettai a terra ogni pudore con disprezzo e foga, senza distogliere lo sguardo dall’uomo che a sua volta sostenne i miei occhi, senza abbassarli mai una volta. Il tizio basso a me vicino si voltò di scatto, mentre quello silenzioso rimase a godersi lo spettacolo, riuscendo infine a mettermi a disagio.
Mi rivestì in fretta e mi avvicinai al fuoco.
– perché in quattro?
Dissi infine al tarchiato, quello che mi sembrava più di compagnia.
– perché in tre non arriveremmo alla camera del tesoro e senza Dan…

– l’elfo?

– sì, lui era indispensabile. Sapeva colpire dalle retrovie con il suo arco, un coniglio a 50 metri di distanza…

– cucinava anche molto meglio di te!

Disse il tizio inquietante, guadagnandosi un’occhiataccia dal tarchiato.
– forse perché nessuno qui è stato tanto bravo da riuscire a catturare un coniglio e poi, chi diavolo lo sa cucinare un troll!?
Ebbi un conato di vomito, ma riuscii a trattenermi.
– parlami di questa stanza del tesoro.

– camera del tesoro. Si trova oltre la collina ed è presidiata da un drago.

– Un drago?

– sì, un drago Molly, hai paura? Fai bene ad averne, ne avrà divorate a decine di ragazzine come te…

Si intromise benda sulla gamba.
– Milica. Il mio nome è Milica e se mi porterete con voi, sarà quel drago ad avere paura di me…
L’uomo mi fissò per diversi secondi. Accennò ad un sorriso, si rivolse al tarchiato ed annuì con il capo, poi si voltò alla sua sinistra a guardare il terzo membro, trovandolo intento a infilarsi un dito nel naso. Non sembrò sorpreso e tornando a me, guardandomi negli occhi aggiunse:
– bene Milica, benvenuta in squadra! Ora finisci di mangiare e dormi, domani si va a caccia di lucertoloni!
Guardai la brodaglia, ma rinunciai sentendomi lo stomaco in subbuglio. Mi  chinai allungando la mano verso la coperta.
– no no, quella non è tua, è mia!

 

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