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Gioco di Ruolo for Dummies: Belonging outside Belonging

Nel precedente articolo abbiamo parlato dei Powered by the Apocalypse. Oggi invece vi porto i Belonging outside Belonging. Con queste parole identifichiamo un framework originale (chiamato più genericamente “sistema di regole”) di ideazione di Avery Alder. E’ un sistema di regole diceless e masterless (quindi senza dadi, ovvero senza alcuna forma di alea, e senza “conduzione narrativa” da parte di un master), usato principalmente con lo scopo di sviluppare legami tra i giocatori e la comunità a cui appartengono e le conseguenze del rafforzarsi o deteriorarsi di questi legami. 

Al contrario dei Powered by the Apocalypse, i Belonging outside Belonging contano ad ora un numero ben inferiore di rappresentanti, quindi sono ancora “distanti” dal pubblico massivo del nostro hobby, ma non per questo presentano giochi meno validi. Basta pensare che uno dei pochi che è stato localizzato da noi, Wanderhome (ne parliamo meglio più sotto) ha riscontrato grande favore sia di pubblico che di critica.

E con un pizzico di fortuna, potresti aver trovato qualcosa di diverso dal solito “entra-uccidi-mostro-arraffa-tesoro-esci” (il noto EUMATE) da provare al tuo tavolo, capace con poco sforzo di parlare direttamente alle emozioni di chi siede insieme per giocare.

Ma ora un pizzico di storia.

AVERY ALDER, E IL BELONGING OUTSIDE BELONGING

Siamo tra il 2012 e il 2013,  il panorama internazionale dei TTRPG vede la comparsa di un trittico di giochi che cambieranno completamente la sua morfologia. In ordine: Monsterhearts, A Quiet Year e infine Dream Askew (tutti e tre localizzati nel nostro paese da Narrattiva).

Ad unire questi tre giochi la loro autrice: Avery Alder. Di origini canadesi, l’opera di Alder porterà una valanga di innovazioni, sia dal punto di vista del framework, che da quello dei contenuti e delle possibilità della narrazione.
Come ogni artista (e si, oramai possiamo affermare senza indugio che i giochi di ruolo sono opere d’arte) sente il bisogno di rivoluzionare il media di cui è partecipe, spingendo alcuni limiti spesso solo formali. Inoltre usa spesso (se non sempre) le sue creazioni per veicolare messaggi di sensibilità sociale, come quelli sull’accettazione sessuale e di genere, la violenza sulle minoranze ed il razzismo. 

SOFFIA IL VENTO DEL CAMBIAMENTO

Moltissimi gli esempi: in Monsterhearts, che come framework usa il sistema dei Backer, lo stesso di Apocalypse World (anche questo edito da Narrattiva da noi) introduce con forza la necessità di parlare di tematiche queer, troppo spesso taciute.

Invita poi i giocatori ad esplorare liberamente la propria sessualità, il più possibile liberi da qualsiasi preconcetto.

A Quiet Year è un gioco che fa della sua meccanica principale una piccola parte di quel gargantuesco hobby che è il gioco di ruolo: il mapmaking, ovvero il produrre mappe. In questa creazione condivisa, i giocatori insieme interpretano parti di una società post-apocalittica durante il loro “anno tranquillo”, cercando di esplorare, innovare e venire a patti con la propria storia ed il proprio passato. Tutto questo, è rappresentato collettivamente dal disegno su una mappa, che nasce cresce ed evolve con la nostra partita. La geografia fantastica diventa presto specchio della storia e della morale della comunità che collettivamente stiamo costruendo.

Infine abbiamo Dream Askew, la storia di un enclave queer che cerca di sopravvivere in un mondo che sta diventando preda di una lenta ma inesorabile apocalisse. Lo scopo non è solo quello di vedere il giorno successivo, ma soprattutto quello di creare un luogo collettivo, tanto fisico quanto sociale, dove amare, essere amati e poter essere sé stessi. Esce in una prima versione PbtA, simile a Monsterhearts, per poi essere riedito insieme al suo “gemello” Dream Apart introducendo un nuovo framework originale di Avery Alder, il Belonging Outside Belonging o per brevità BOB.

Ed è di questo sistema che vi voglio parlare oggi.

AUTORE E OPERA, UN RAPPORTO INSCINDIBILE

Un necessario inciso dal pedante tono accademico, per farvi capire l’importanza dell’autrice nel panorama del gioco di ruolo indie  (termine che ha fin troppe e personalizzate letture, ma in questo caso dolorosamente necessario). A seguire una brutale traduzione di un trafiletto della wikipedia inglese:

“Ha scritto The Quiet Year […] che ha vinto gli Indie RPG Awards 2013 come “Più Innovativo”. Ha anche scritto Dream Askew, che ha vinto gli Indie RPG Awards 2014 come “Miglior gioco gratuito” e Monsterhearts, che è stato nominato agli Origins Awards 2013 come “Miglior gioco di ruolo”.”

Quando si tratta con un Autore del genere (la A maiuscola è voluta), ci è molto utile, per capire le strutture meccaniche scelte nella realizzazione del framework, partire dalla sua filosofia. In diverse sue interviste (come ad esempio quella nel podcast “MOHANRAJ AND ROSENBAUM ARE HUMANS” Episodio 27) Alder afferma che la maniera in cui l’autore si approccia alle meccaniche per i propri mondi immaginari rivela le convinzioni del designer su come alcune tematiche ed alcune comunità funzionino nel mondo reale.

COS’E’ QUINDI BELONGING OUTSIDE BELONGING?

E’ un sistema masterless e diceless, quindi niente direttore del gioco e niente alea, ma una narrazione condivisa che nasce dal “tavolo” inteso come consesso riunito dei partecipanti al gioco. Al massimo è presente un facilitatore più familiare con le (ben poche) meccaniche del framework a dare qualche “spintarella” dove necessario. 

Condivide ed eredita alcuni aspetti dal Mondo dell’Apocalisse dei Baker, ovvero i libretti e le mosse. Se volete sapere di più sull’argomento vi consiglio di leggere il nostro precedente articolo sui PbtA, che vi darà un’idea chiara di cosa parliamo quando diciamo le suddette parole.

Vi sono però degli elementi di differenza rispetto ai PbtA, che lo rendono effettivamente un sistema a sé stante. La prima è, come detto sopra, la completa assenza di dadi, carte o qualsiasi elemento di gestione randomica. Come si risolvono quindi le mosse? Come faccio a capire se la mia intenzione dichiarata è stata un successo o un fallimento?

DURE, REGOLARI O DEBOLI?

Semplicemente sono le mosse stesse a raccontarvi cosa succede. Portando come esempio il capostipite Dream Askew e il suo gemello Dream Apart, ogni archetipo, ogni libretto ha a disposizione tre tipi di mosse: dure, regolari e deboli. Le mosse dure sono in grado di virare la direzione della narrazione sempre a favore del personaggio che le impiega, ad esempio una mossa dura potrebbe far apparire i tuoi compagni in scena, guarire completamente un alleato o eliminare completamente un ostacolo.

Le mosse regolari portano vantaggi e svantaggi al personaggio, ad esempio permettendogli di proteggere un alleato scoprendosi, oppure lo espongono a situazioni pericolose, come incominciare un potente ma instabile rituale arcano, o aprire la propria mente al maelstrom psichico. Infine le mosse deboli non portano altro che svantaggi o conseguenze negative al personaggio che le compie, come ad esempio ostacolare un compagno, mentire pur di non ammettere di non avere la risposta giusta causando un danno oppure minacciando qualcuno di troppo potente.

UN NUOVO MODO DI GIOCARE

Ma allora, grida il piccolo powerplayer che risiede nel fegato di tutti noi, perché non spammiamo solo mosse forti? In quattro scene salviamo capra e cavoli e sessione finita, e poi pronti per un nuovo giro a Pathfinder prima edizione. Avery Alder risolve il problema introducendo una meccanica non nuova nel panorama dei TTRPG, ma raramente utilizzata in maniera così focalizzata. L’autrice da ad ogni giocatore una risorsa finita da gestire: le mosse dure ci chiedono di spendere uno dei nostri punti (nel caso di Dream Askew, dei token), le mosse regolari sono a saldo zero, mentre le mosse deboli ci permettono di recuperare uno dei nostri punti/token. 

Questo mette il giocatore davanti alla consapevolezza che per ogni volta che vorrà avere la meglio, un’altra dovrà decidere di incassare il colpo. Per ogni apice ed eroico gesto del suo pg, ci dovrà essere un momento di debolezza, di codardia, di paura, di ,più semplicemente, umanità. Perché questo fanno i giochi della Alder, ci raccontano uno spaccato umano positivo e speranzoso, ma non esente da quelle storture che ci rendono fondamentalmente umani. I personaggi sbagliano, falliscono e si mettono in ridicolo, ma quando c’è bisogno, quando la storia e la comunità hanno bisogno dei loro eroi, questi personaggi si innalzano, rispondendo alla chiamata della necessità. 

Via Buried Without Ceremony
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DOMANDE, CONSEGUENZE E RELAZIONI

Altra interessante meccanica in Dream Askew/Dream Apart è quella delle domande collegate alle mosse. Dopo aver effettuato una mossa, il vostro libretto vi “forza” a chiedere una domanda ad un altro giocatore o al resto del tavolo. Dopo aver dato sfoggio della vostra forza mentale e aver piegato il maelstrom vi troverete forse a chiedere ai vostri compagni “perché ora avete paura di me?”, oppure chiedere cosa un altro personaggio ami, o di cosa abbia paura.

Potreste chiedere ai vostri compagni cosa dover fare per farli sentire più accettati nella comunità, o cosa pensano di voi, ora che siete scappati davanti alla sfida. Queste domande, che servono ovviamente ad arricchire la comune esperienza di gioco, hanno tutte il fantastico sapore di quei sapienti movimenti di camera che spesso i registi usano per raccontare una storia nei film. E’ come se, dopo aver dedicato tempo al nostro primissimo piano, la “telecamera narrativa”, il collettivo occhio della mente si spostasse in un controcampo o in un campo largo sul resto del gruppo, narrando l’efficacia e l’emotività di quanto successo anche attraverso la loro reazione. 

IL VOLTO DI UNA COMUNITÀ

Altro elemento condiviso dai giochi gemelli Dream Askew/Dream Apart che diventerà elemento caratteristico dei Belonging outside Belonging (anche se di volta in volta rivisitato) è quello della descrizione della comunità. In Dream Askew ci viene fornito un foglio da cui selezionare alcuni elementi descrittivi dell’enclave, così come alcune tematiche o problemi che vadano in conflitto l’uno con l’altro.

Per gli aspetti scenici possiamo scegliere tra rovine, accampamenti di tende, vecchi fabbricati arrugginiti, altari, piante mutate in fiore, resti della guerra e tante altre possibilità per creare insieme lo scenario del nostro collettivo teatro dell’occhio della mente. Tra gli elementi che sono o possono portare conflitto nel nostro enclave troviamo forme di culto, abolizione del genere, uso di violenza, assenza di privacy, edonismo, il bisogno di reintegro nella società massiva e moltissime altre possibilità. Infine, abbiamo uno spazio dedicato, che sembra quasi un “autocitazione” al precedente gioco della Alder, dove poter disegnare insieme una basilare mappa della nostra collettività.

Via Wanderhome su Itch.io

POWERED BY THE APOCALYPSE O BELONGING OUTSIDE BELONGING?

In una realtà come quella dei TTRPG, come in ogni realtà artistica, la reciproca ispirazione e il costante uso delle basi di ieri per arrivare ai framework del domani è naturale ed inevitabile. Cosa rende allora un gioco parte di un filone, come i Powered by the Apocalypse o l’uso del Belonging outside Belonging?
Dire banalmente “l’uso dello stesso framework” è una definizione sia riduttiva che incompleta. Da una parte, molti giochi sia PbtA che BOB cambiano, radicalizzano e piegano il framework originale alle loro necessità, a volte reinventando alcune parti o omettendone altre: esistono PbtA senza libretti, ad esempio. Dall’altra similitudini nel framework potrebbero non essere sufficienti per “riunirli” sotto uno stesso ombrello: Apocalypse World, Dream Askew e Baldes in the Dark ad esempio fanno tutti e tre uso di libretti e mosse, ma gli ultimi due hanno generato i loro filoni, legati all’apocalisse, ma con un’identità a sé stante.

Quindi cosa serve ad un gioco per poter dire di usare il framework Belonging outside Belonging? Partiamo come sempre dalle dichiarazioni dell’autrice (perdonate la licenza di traduttore):

Sta a te decidere se utilizzare questa etichetta per descrivere il tuo lavoro, ma ci sono alcune linee guida da considerare. Ancora più importante, un gioco Belonging Outside Belonging  riguarda sempre una comunità emarginata che tenta di vivere appena al di fuori dei confini della cultura dominante. Oltre a ciò, chiediti: questo gioco si adatta alla linee descritte? Questo capitolo è servito come elemento chiave nella progettazione? Ritieni giusto adottare l’etichetta? Usala se ti sembra corretto.

Come spesso accade, in questo caso l’autrice ci da solamente una misura di buonsenso. Cerchiamo però di stilare alcuni punti comuni alla maggior parte dei BOB.

LE MOLTE COMUNITÀ DEI BELONGING OUTSIDE BELONGING

Sicuramente le caratteristiche principali sono quelle di essere GMless, diceless, di avere i playbooks e le mosse, e di contenere all’interno un sistema di gestione di risorse e conseguenze. Ma su tutti, la caratteristica dei Belonging outside Belonging è quella di parlare di comunità ai margini, degli esclusi sociali, di chi trova la comunità da chiamare famiglia. 

Inizio ora ad elencare i giochi che usano il framework Belonging outside Belonging. Come sempre, queste liste nascono unicamente dall’aver in qualche maniera esperito i giochi di cui parlo (nel peggiore dei casi, semplicemente letti, nel migliore giocati diverse e diverse sessioni) e per loro insita natura non possono che essere limitate e incomplete.

Spero mi perdonerete.

Inoltre mi scuso subito se doveste individuare qualche inesattezza nei dati riportati, soprattutto nelle date di pubblicazione: molti di questi materiali sono figli di kickstarter, o di pubblicazioni unicamente digitali, diventati in seconda battuta prodotto fisico, e la necessaria ricerca filologica da parte mia potrebbe risultare inesatta. Lì dove in dubbio prenderò come punto di riferimento la data di pubblicazione sul sito di ecommerce “DriveThruRPG”, che possiamo prendere come affidabile punto di consenso generale.

Dream Apart (Rosenbaum, 2013, Buried without Ceremony, localizzato da Narrattiva)

Dream Apart è il gemello di Dream Askew. Seppur meccanicamente non presenta nessuna differenza con il gioco della Alder, è interessante vedere come muovere seppur di poco la lente del focus della comunità cambi radicalmente i tipi di storie che il gioco tende a raccontare. Non siamo più nel futuro, ma nel nostro passato. La comunità costretta a chiudersi nell’enclave non è più quella LGBTQ+, ma quella ebraica, discriminata per il suo credo. Il tema della fede, dell’appartenenza e dell’essere parte di una società che ti sfrutta, ma non ti vuole accettare diventa centrale in questa versione portata da Benjamin Rosenbaum. Se il nome vi risulta familiare, è perché l’abbiamo citato poco sopra, è uno dei due host del podcast “MOHANRAJ AND ROSENBAUM ARE HUMANS” citato poco sopra.

Sleepaway (Dragon, 2020, Possum Creek Games, non localizzato)

Sleepaway è la prima opera di Jay Dragon, che diventerà in breve una importante voce nei BOB in particolare e nei TTRPG in generale. Seppur improbabile, mi scuso immediatamente con Jay Dragon: come specificato nella sua bio sul sito di Possum Creek, non risponde a nessun pronome. Se questo è già una sfida nello scritto inglese, in quello italiano è anche peggio. Cercherò di usare ogni volta possibile il nome proprio, ma è improbabile che riesca a finire questo articolo senza commettere nessuno “strafalcione”. Tornando a noi, Dragon iscrive la sua comunità in quella dei “camp counselor”, che devono badare ai giovani frequentatori del campeggio. Non è però solo quello ad unirli: tutti i counselor sono stati vittime dello stesso criptide, noto come “Lindworm”, un mutaforma che ha cambiato ed influenzato in qualche misura la vita di tutti i personaggi.

Il gioco riporta alcune tematiche care a Dragon, in primis quelle legate al tema Queer. Personalmente però mi ha colpito come il gioco riesca costantemente a rimanere in quello spazio liminale che senza soluzione di continuità ci permette di passare da un tono “cozy” ad un gioco dell’orrore, quando i nostri protagonisti sono messi davanti al criptide che infesta il campeggio. Come in un racconto di King, come in Stranger Things, l’angoscia e la nostalgia, la paura e il bisogno di rivalsa si intrecciano.

Interessantissima anche la presenza dei “Rituali”, momenti del gioco che trascendono il semplice GDR, introducendo meccaniche meta-narrative per coinvolgere sempre di più i giocatori al tavolo: bisognerà gesticolare, disegnare, o arrivare addirittura a distruggere in maniera rituale qualcuno degli elementi che stiamo usando per giocare. Molto altro si potrebbe dire su questo gioco, ma c’è un pensiero che qui vorrei cementare: Sleepaway ha corso per permettere a Wanderhome di volare.  

BALIKBAYAN: Returning Home (Nedjadi, 2020, Sword Queen Games, non localizzato)

Il gioco ci porta in un mondo cyberpunk, frenetico e futuristico, gretto e distopico, dove il metallo riflette gli accessi colori dei neon, e ci mette nei panni di Elementali, che devono riuscire a liberarsi dalla presa delle macchine che li sfruttano come fonte di energia, e delle CORP, simbolo dell’avido turbocapitalismo, che li vorrebbe unicamente come schiavi, come merce da sfruttare e poi buttare.

L’identità dei nostri Elementali proviene direttamente dal folklore filippino, portando il gioco in questa costante dicotomia di tecnologia contro magia, conservazione contro consumo, identità contro profitto che è il cuore del gioco stesso. Interessante anche il fatto che, pur usando un framework masterless, preveda la possibilità di avere un narratore al tavolo. Ad ora mi risulta ancora “in beta”, ma posso dire che ha tra i libretti più interessanti tra i giochi listati, ed è un prodotto che ogni fan o di American Gods, o di Neuromante non si dovrebbe far sfuggire.

Our Hunt (Nedjadi, 2022, Possum Creek Games, non localizzato)

Our Hunt  è un gioco in cui interpreteremo i fantasmi e le entità che infestano una casa. La comunità a cui apparteniamo è quella appunto degli abitanti ultraterreni della casa. Anche questo gioco, in maniera simile a Sleepaway riesce a cambiare velocemente registro, passando da scene di orrore e inquietudine (che stiamo infliggendo o subendo, ma questo lo vedremo dopo) a scene di intimità e calore emotivo. Fantasmi privati dei loro ricordi, che si portano appresso il peso della loro vita passata, si riuniscono in questa comunità in cui insieme cercano di riscoprire il loro passato, costruendo insieme un futuro. Interessante alcune varianti introdotte nel framework, come la “lure” dei trigger narrativi che gli altri giocatori possono far scattare per guadagnare token.

Molto particolare anche il fatto che le stanze in cui è divisa la nostra casa, abbiano delle schede da compilare insieme in cui scegliamo la loro estetica e i loro problemi non risolvibili (si va da spiriti bellicosi che vogliono coinvolgere i giocatori in duelli all’arma bianca a cacciatori di fantasmi della TV che vogliono girare la puntata del loro show). Inoltre, le stanze hanno un elenco aggiuntivo di mosse a cui possiamo accedere per movimentare ancora di più l’economia dei token. Our Hunt è un gioco apparentemente semplice, ma forse uno tra quelli elencati che più “deforma” il framework originale, per raccontare storie semplici ma cariche di emozioni. Forse tra i giochi elencati è quello che più di tutti spinge sul concetto di “founded family”, e chi ama questo tipo di storie non se lo dovrebbe far sfuggire.

Cantrip (Panarin, 2022, SoulMuppet Publishing, non localizzato)

Cantrip  in questa lista anche per parlare di quei titoli che, sfruttando lo stesso framework, non riescono ad avere lo stesso impatto dei loro simili. Parto intanto dicendo che le art di Celeste Cruz sono bellissime, a partire dalla copertina, e che si percepisce il lavoro messo da Misha Panarin e i suoi collaboratori, ma è un prodotto interessante vessato da alcuni (nel mio parere) difetti. Tralasciando le scelte di layout, il font e la sua grandezza, e alcune scelte di ordine degli argomenti che rendono labirintica la lettura e la consultazione del prodotto, soprattutto su cartaceo, quel che resta è comunque un gioco dalle forti reference, ma che produce dei libretti e delle mosse poco ispirate se confrontate con gli altri titoli di questa lista.

Non è assolutamente un brutto gioco, sia chiaro, e se nelle vostre corde vi sono storie come Little Witch Academia, The Owl House e tante altre, allora queste storie di giovani ragazze magiche e queer risuoneranno bene con voi. E’ innegabile però che rispetto agli altri titoli elencati non presenti forti elementi di innovazione, e spero che se mai verrà localizzato nel nostro paese, si opti per una revisione dei layout e delle grafiche presentate nel manuale.

Wanderhome (Dragon, 2021, Possum Creek Games, localizzato da Grumpy Bear)

Partiamo con il dire una cosa: il manuale, sia la versione originale che quella della Grumpy Bear, è fisicamente un oggetto bellissimo, che solo per il comparto di impaginazione, editing e artworks andrebbe acquistato.

Parlando invece del contenuto, basta poco per immergersi nel vasto e (ora) pacifico mondo di Hæth. Con quindici libretti da cui scegliere, vi sono tantissimi modi di approcciarsi alla realtà di gioco e ai legami con gli altri membri del gruppo. Veterani, postini, pastori di bombi, medium, ballerini, tantissime le identità che la nostra persona animalina potrà essere, supportata anche dalla scelta dell’animale e dalla sua passione, che aumentano ancora di più il livello di personalizzazione e rigiocabilità. Non mi capita spesso con prodotti come i PbtA o i BOB, ma a Wanderhome vorrei provare tutti gli archetipi. Perché sono fenomenali le possibilità di crescita a fine di ogni stagione, perché ognuno dei libretti racconta Hæth da un nuovo punto di vista.

Anche l’ambientazione riesce in qualche maniera a incantare il lettore. Molto, se non proprio tutto, è solo accennato. Ricco è l’uso di parole, di frasi, di suggestioni che accendono la fantasia anche solo alla prima lettura. La Lily Rebellion, la Slobbering God e l’arma che l’ha uccisa. Volutamente, il mondo è solo un tratteggio, che ti da linee da riempire, ed i colori per farlo, ma poi la palla passa al tavolo, che come entità unita racconta la propria versione di questo mondo fantastico. Dobbiamo ringraziare la Alder, Dragon e la Grumpy Bear per aver permesso ad un prodotto del genere di raggiungere i nostri scaffali. Ha in sé qualche dimenticata magia, ed è capace di stregare chi lo sfoglia, portandolo a voler provare qualcosa che spesso è così distante dalla visione comune del gioco di ruolo.

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LA NOSTRA COMUNITÀ, QUELLA DEI GIOCATORI

Per concludere, vi posso dire che almeno per quanto mi riguarda (ma ho scoperto nel corso del tempo che è un sentimento comune), questi giochi parlano direttamente all’animo. Le tematiche della comunità e dell’appartenenza, per quanto nascano dalle più serie problematiche della comunità queer e LGBTQ+, credo che parlino un poco anche a tutti noi giocatori di ruolo. Soprattutto se condividono la mia generazione, quella dei Millennials, o ne sono antecedenti.

Recentemente il GDR è entrato nella visione del mercato mainstream, ma fino a qualche anno fa era una roba per strani. Per falliti. Per nerd.

È innegabile che nel gioco poi, per molti di noi, vi era qualche misura di escapismo, di momentanea estraniazione dalla realtà. Ma era proprio in quei momenti che stavamo formando la nostra comunità, stavamo scegliendo la nostra famiglia. Quella dei sognatori, degli emotivi, quella di chi con solo una matita ed un foglio di carta era in grado di perdersi per ore nello scenario dell’immaginazione condivisa. Forse è proprio per questo che trovo i Belonging outside Belonging una lettera d’amore a tutti noi, che ogni volta fa piacere rileggere, anche solo per qualche ora.

Auguro a tutti voi che ci leggete il meglio, circondati dalle persone che avete scelto per essere la vostra famiglia.

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